giovedì 2 febbraio 2012

No al carcere obbligatorio per chi è in attesa di essere processato per stupro. Insorgono le femministe

La Cassazione ha recepito la sentenza della Corte Costituzionale che abrogava il carcere obbligatorio per gli accusati di violenza sessuale contenuto nel decreto Maroni-Carfagna. Da oggi, chi è imputato in un procedimento per stupro di gruppo (gang rape) potrà godere, qualora lo richiedano i fatti specifici (in pratica, secondo la consuetudine, assenza di gravi evidenze di colpevolezza), di misure cautelari alternative al carcere: arresti domiciliari, divieto di dimora o libertà completa. Il provvedimento rende giustizia a tutti coloro che vengono querelati ma nei confronti dei quali esistono solo prove contraddittorie; per loro, fino ad adesso era obbligatorio il carcere preventivo.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Secondo la Mussolini, che evidentemente non ha ben chiara la differenza tra custodia cautelare e espiazione della pena, «una donna che vede negato il carcere per i suoi carnefici» subirebbe «una seconda violenza». In effetti è proprio sulla confusione e sull'ignoranza della gente che non distingue i due livelli di giudizio che si è basata fino ad oggi la propaganda femminista secondo cui "chi stupra si fa due mesi di carcere e poi è fuori"; la realtà è che è possibile evitare temporaneamente il carcere cautelare ma, se si viene condannati, le pene da scontare dopo il processo sono comunque pesanti. Non ci pare un concetto difficile da comprendere. Eppure la Carfagna, che come si apprende da Wikipedia è laureata con 110 e lode in Giurisprudenza, continua sulla stessa linea affermando che «le aggravanti per i reati di violenza sessuale furono introdotte proprio per evitare lo scempio della condanna senza un giorno di carcere per chi commette un reato grave come questo»; in realtà con la sentenza della Corte Costituzionale le aggravanti, che intervengono in sede di giudizio, non c'entrano una beata minchia. E la Carfagna dovrebbe sapere che per il reato di stupro la pena minima è di cinque anni, per cui in caso di condanna il carcere è assicurato.

Ci dice Rita Guma, Presidente dell'Osservatorio sulla legalità e sui diritti Onlus «varie voci, anche di personaggi considerati autorevoli, si sono sollevate contro la sentenza della Cassazione che, recependo l'istanza della Corte Costituzionale e in particolare quanto disposto all'articolo 3 della Costituzione, ha stabilito che quella in carcere non è l'unica misura cautelare possibile per gli accusati di violenza di gruppo. Si badi bene, la sentenza non dice che chi è riconosciuto colpevole con sentenza definitiva non debba andare in carcere, né che per chi è imputato di tale reato non debba essere disposta alcuna limitazione della libertà, ma solamente che per gli accusati di stupro di gruppo possono essere disposte misure alternative al carcere, quali gli arresti domiciliari; naturalmente se sussistono gravi indizi e il pericolo di inquinamento probatorio, fuga o reiterazione potrà ancora essere disposto il carcere cautelare [...] Per capire la sentenza, occorre immaginare di essere uno dei tanti accusati che ingiustamente sono stati tenuti in prigione prima di essere completamente scagionati (con prove certe, come quella del DNA), visto che spesso le prove nei casi di stupro sono solo testimoniali».

Esempi di mistificazione feminazista e vittimismo li potete trovare qui http://www.giornalettismo.com/archives/195932/chi-stupra-in-branco-non-va-in-carcere-2/ (si noti il titolo altisonante “Chi stupra in branco non va in carcere”) e qui http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/02/02/sentenza-se-stupri-in-branco-ti-tocca-una-vacanza-premio/ (“Sentenza: se stupri in branco ti tocca una vacanza premio!”).

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